Appalto: i difetti relativi all'isolamento acustico possono costituire gravi difetti costruttivi ex art. 1669 c.c.

Con sentenza n. 12818 pubblicata il 13 novembre 2015, la sezione VII del Tribunale di Milano ha ricondotto il problema dell'inadeguato isolamento acustico di un edificio alla categoria del grave difetto costruttivo rientrante nella tutela di cui all'art. 1669 c.c.

Come chiarito dal Tribunale, infatti, secondo la giurisprudenza di legittimità la nozione di difetto di costruzione ricomprende anche alterazioni che non investono parti essenziali dell'immobile, ma quegli elementi secondari o accessori funzionali all'impiego duraturo dell'opera e tali peraltro da incidere in modo considerevole sul godimento dell'immobile.

Sulla scorta delle risultanze della consulenza tecnica, che ha constatato l'idoneità di tali difetti a pregiudicare in modo sensibile il godimento e la utilizzazione delle unità abitative, e dunque ad incidere sulla funzione abitativa del bene, il Giudice ha condannato appaltatore, progettista, direttore dei lavori e tecnici incaricati di predisporre la relazione sui requisiti acustici dell'immobile al risarcimento del danno.

Se l'alunno cade in palestra, anche esterna alla scuola, la responsabilità è sempre dell'Istituto scolastico

Con sentenza n. 3695 del 25 febbraio 2015 la Sezione III della Corte di Cassazione si è occupata del caso di una minore che, alla fine dell'ora di educazione fisica, tenuta in un centro sportivo esterno all'Istituto scolastico, è scivolata nei spogliatoi a causa del pavimento bagnato riportando danni, anche permanenti, alla bocca.

I genitori avevano chiesto il risarcimento dei danni al Ministero dell'Istruzione, ma il Tribunale aveva rigettato la domanda, rilevando l'assenza di rapporto causale tra l'evento e la condotta del personale scolastico, che non aveva potuto evitare la caduta determinata da accidentalità fortuita.

Il Giudice d'appello aveva confermato la decisione sulla scorta della mancata allegazione da parte dell'appellante della condotta idonea a prevenire o limitare la probabilità del sinistro, diversa da quella concretamente posta in essere dal personale insegnante.

La Corte di Cassazione ritiene illegittimo un tale aggravio dell'onere probatorio a carico del danneggiato.

E' principio consolidato, sostiene infatti la Corte, che in caso di danno cagionato dall'alunno a sé stesso, la responsabilità dell'Istituto scolastico e dell'insegnante ha natura contrattuale, atteso che, quanto all'Istituto, l'accoglimento della domanda di iscrizione determina l'instaurazione di un vincolo negoziale, dal quale sorge l'obbligo di vigilare sulla sicurezza e sull'incolumità del discepolo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni.

Quanto al precettore, tra insegnante e allievo si instaura, per contatto sociale, un rapporto giuridico nell'ambito del quale il primo assume anche uno specifico obbligo di protezione e vigilanza onde evitare che l'alunno si procuri da solo un danno alla persona.

Ne deriva, prosegue la Corte, che nelle controversie instaurate per il risarcimento del danno da autolesione nei confronti dell'Istituto scolastico e dell'insegnante, è applicabile il regime probatorio imposto dall'art. 1218 c.c, sicché, mentre il danneggiato deve provare esclusivamente che l'evento dannoso si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, sulla scuola incombe l'onere di dimostrare che l'evento è stato determinato da causa non imputabile né alla scuola né all'insegnante.

Né assume rilievo, conclude il Collegio, la circostanza che i locali dello spogliatoio non fossero dell'istituto scolastico, ma fossero ubicati in un centro polisportivo gestito da altri enti, sia perché anche il detentore è custode, salvo che provi l'assoluta mancanza di potere di ingerenza o di intervento sul bene che, per anomalia estrinseca, è divenuto dannoso, sia perché la ricorrente aveva posto a fondamento della domanda risarcitoria l'omessa vigilanza anche sui locali adibiti a spogliatoio prima di consentirne l'uso ai discenti.

Scuola e insegnante avrebbero dunque dovuto predisporre gli accorgimenti necessari per evitare l'evento dannoso.

La sentenza n. 3696 del 25 febbraio 2016 della Sezione III della Corte di Cassazione è rintracciabile sul sito della Corte all'indirizzo http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/

Nudo proprietario ed usufruttuario: ripartizione delle spese

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 22703/15, sez.II, ha chiarito come devono essere ripartite le spese di manutenzione dell'immobile fra nudo proprietario ed usufruttuario.


In particolare, nella sentenza si legge che ciò che rileva, ai fini della distinzione tra gli interventi gravanti a carico dell'usufruttuario e del nudo proprietario, non è la maggiore o minore attualità del danno da riparare, ma l'assenza e la natura dell'opera, e cioè il suo carattere di ordinarietà o straordinarietà, in quanto solo tale caratterizzazione incide sul diritto di cui l'uno o l'altro dei due soggetti sono titolari.

Ne consegue che, dal momento che all'usufruttuario spetta l'uso ed il godimento della cosa, si deve a lui lasciare la responsabilità e l'onere di provvedere a tutto ciò che riguarda la conservazione ed il godimento dell'immobile nella sua sostanza materiale e nella sua attitudine produttiva; di contro, si devono riservare al nudo proprietario le opere che incidono sulla struttura, la sostanza e la destinazione dell'immobile, in quanto le stesse afferiscono alla nuda proprietà.

La sentenza n. 22703/15 della sez. II della Corte di Cassazione è rintracciabile sul sito della Corte di Cassazione all'indirizzo http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/.

Facebook: il post offensivo è reato

Con sentenza 1 marzo 2016 , n. 8328, la sezione quinta della Corte di Cassazione ha affermato che l'inserimento su Facebook di un post diffamatorio integra la fattispecie di diffamazione aggravata ex art. 595, 3° comma, cod. pen.

La pronuncia si inserisce all'interno di un orientamento consolidato, secondo cui il reato di diffamazione può essere commesso a mezzo di internet (cfr. Sez. 5, 17 novembre 2000, n. 4741; 4 aprile 2008 n. 16262; 16 luglio 2010 n. 35511 e, da ultimo, 28 ottobre 2011 n. 44126), sussistendo, in tal caso, l'ipotesi aggravata di cui al terzo comma della norma incriminatrice (cfr. altresì sul punto, Cass., Sez. 5, n. 44980 del 16/10/2012, Rv. 254044), dovendosi presumere la ricorrenza del requisito della comunicazione con più persone, essendo per sua natura destinato ad essere normalmente visitato in tempi assai ravvicinati da un numero indeterminato di soggetti (Sez. 5, n. 16262 del 04/04/2008).

Per comune esperienza, evidenzia la Suprema Corte, "bacheche di tal natura racchiudono un numero apprezzabile di persone (senza le quali la bacheca facebook non avrebbe senso), sia perché l'utilizzo di facebook integra una delle modalità attraverso le quali gruppi di soggetti socializzano le rispettive esperienze di vita, valorizzando in primo luogo il rapporto interpersonale, che, proprio per il mezzo utilizzato, assume il profilo del rapporto interpersonale allargato ad un gruppo indeterminato di aderenti al fine di una costante socializzazione (Sez. 1, n. 24431 del 28/04/2015)".

Per tale ragione "la condotta di postare un commento sulla bacheca facebook realizza la pubblicizzazione e la diffusione di esso, per la idoneità del mezzo utilizzato a determinare la circolazione del commento tra un gruppo di persone, comunque, apprezzabile per composizione numerica, di guisa che, se offensivo tale commento, la relativa condotta rientra nella tipizzazione codicistica descritta dall'art. 595 c.p.p., comma (Sez. 1, n. 24431 del 28/04/2015)".

Nella fattispecie la condotta consisteva nell'aver pubblicato sul proprio profilo Facebook alcune frasi associandole all'immagine della persona, tra cui - "...per pararsi il culo, il parassita è capace anche di questo", con associata immagine del R. F.;- "... eroe del risanamento, o parassita del sistema clientelare? Quando i cialtroni diventano parassiti, vengono sputtanati dai giornali... ", con associata immagine del R. F.;- "... devo andare a pescare, mi serve un verme, quale mi consigliate ?", con associata immagine del R. F.;- "... io la farei mangiare a quel parassita di R. F., che vale quanto una fava masticata,..- ...R. F. è solo un mercenario ultra-pagato, che non gli frega un cazzo dei vulnerabili, tanto lui, al mese, lo stipendio lo prende....".

La sentenza 1 marzo 2016 , n. 8328, della  Corte di Cassazione, sez. V, è rintracciabile sul sito della Corte all'indirizzo http://www.italgiure.giustizia.it/sncass/ 
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